Siamo soli con il nostro dolore, Come è ancor più difficile stare male.....

« Older   Newer »
  Share  
ceppino_theangel
view post Posted on 27/5/2007, 09:45




Ciao a tutti,
vorrei discutere con voi della solitudine e dell'ostracismo, del menefreghismo e dell'umiliazione continua che nella nostra società subisce chi è malato terminale.
Già il termine "malato terminale" è inquietante: ti fa capire che non hai alternative, che da un momento all'altro tutto ciò a cui tieni di più sparirà.
Per chi soffre e per chi è vicino a chi soffre, la cosa ancor più terribile è sentire l'indifferenza collettiva, la classica pacca sulla spalla che ti dice..."coraggio.....".

Riporto questo ottimo articolo pubblicato sull'Unità on line. Date una occhiata e riflettiamo insieme.


Tratto da : L'Unità on line

Giorno del sollievo: il tabù della terapia del dolore

a cura di Stefano Baldolini


Centralità della persona malata, affrancamento dal dolore "inutile", focus sulle terapie più avanzate ma anche sostegno psicologico e capacità di rapportarsi umanamente a chi soffre. Questi i temi della VI Giornata nazionale del sollievo, che, istituita nel 2001 dall'allora ministro della Salute Umberto Veronesi, si celebra domenica 28 maggio. Martedì scorso, presentando l'iniziativa, il ministro della Salute Livia Turco ha lanciato un appello per sbloccare la legge sulla semplificazione delle prescrizioni, ferma da un anno al Senato.
Non solo dolore fisico

«Potevamo scegliere di chiamare la Giornata del sollievo in un altro modo - fa il dottor Vito Ferri, psicologo del comitato scientifico della fondazione Ghirotti, tra i promotori dell'iniziativa - "Contro il dolore", per esempio. Ma si è voluto dare un'impronta propositiva. Il dolore fa parte della persona umana, è impossibile cancellarlo. Il vero obiettivo è affrancare la persona dal dolore "inutile", che troviamo nella fase avanzata delle malattie tumorali, ma anche in seguito a malattie croniche».

La distinzione è decisiva. Il dolore "utile"è quello che fa da "campanello d'allarme" e permette di diagnosticare in tempo una malattia. Il dolore "inutile" perde questa funzione e si trasforma in vera e propria malattia.

Poi c'è il diritto all'accesso alla terapia idonea. «E' l'altro importante messaggio della giornata - continua il dottor Ferri - che risponde all'idea erronea che esista solo il dolore fisico. Non è così. Esistono diverse forme di dolore che accompagnano una malattia, c'è quello morale, psicologico, spirituale. Il dolore sociale, che nasce dalla mancata soddisfazione delle esigenze del cittadino. Del singolo che non vede riconosciuto un diritto. Si pensi al malato povero che necessita del servizio di trasporto in ospedale...»


Circa il 20 per cento della popolazione italiana, secondo stime recenti, soffre di dolore acuto o cronico. In genere si tende ad associare la terapia del dolore solo ai pazienti terminali, tuttavia il 70 per cento di pazienti che necessitano il trattamento soffrono di patologie cosiddette benigne croniche (dall'osteoporosi all'artrite, da post-operatorie a neuropatie diabetiche). «Le cose stanno migliorando. Prendiamo il superamento dell'oppiofobia, per esempio. Dell'idea distorta che la morfina sia una droga da assumere solo prima di morire, e non un semplice farmaco, come la molecola della cannabis, d'altro canto. Mentre magari è poco noto che esistono farmaci molto più potenti e pericolosi della morfina»

Ma c'è una questione forse più importante. «Le cure palliative si pongono sia contro l'accanimento terapeutico che contro l'eutanasia. Lenire i sintomi e la sofferenza globale, accompagnare il malato con dignità fino alla morte, può essere considerata una "terza via", meno ideologica, nell'assistenza al malato.»

Pazienti più informati, ma c'è ancora da lavorare

Sembra meno ottimista il dottor Edoardo Arcuri, direttore presso il Regina Elena di Roma dell'Istituto di rianimazione, terapia del dolore e cure palliative: «Uno dei pochi in Italia. Per dimostrare che questi tre aspetti possono integrarsi.»

Oggi i pazienti sono molto più informati ed esigenti, ma mancano i fondi.

«Negli ultimi tre anni c'è stato un boom d'informazioni. L'industria s'è mobilitata, e si è passati a nuovi criteri farmaceutici, meno invasivi, come il cerotto sottocutaneo... Ma tutto questo ancora non è facile da tradurre in realtà. C'è un paradosso tra quanto si parla del dolore e quanto si può realmente fare. Noi per esempio siamo considerati una struttura all'avanguardia, eppure fatichiamo a reperire le risorse per mantenere due borsisti, naturalmente, precari.»

Eppure ricerche hanno dimostrato che un adeguato controllo del dolore post-operatorio riduce i tempi di degenza, e dunque anche i costi di una struttura.

«Il dolore può diventare malattia nella malattia. durante il parto può provocare sofferenza fetale, per esempio, e portare alla perdita del bambino. In teoria il controllo del dolore dovrebbe essere il centro di eccellenza dell'ospedale. In pratica è affidato a comitati poco finanziati. Non c'è ancora autonomia culturale, gestione ed economica.»

Alla base di una sanità più umana

C'è poi un legame tra applicazione della terapia del dolore e qualità del servizio sanitario offerto.

Né è convinto Adriano Amadei, di Cittadinanzattiva e membro della commissione istituita dal ministro Livia Turco: «La cosiddetta umanizzazione della sanità passa per il superamento del dolore inutile, per l'ascolto del malato. Non è che occorrono grandi cose dal punto di vista tecnologico. Né molte risorse. Bastano pochi gesti. Il primo è interpellare il malato. Se questo non accade, è un brutto segnale dal punto di vista professionale.»

L'Italia è ultima in Europa per numero di centri specializzati. Terz'ultima per uso di farmaci oppiacei.

«Alle radici del ritardo italiano ci sono delle cause storiche. Inutile nascondersi dietro un dito: la tradizione cattolica, che vedeva il dolore come espiazione, ha influito molto sulla percezione del problema. Questo non vuol dire che oggi dobbiamo fare battaglie ideologiche, di contrapposizione, però dobbiamo tenere conto del contesto specifico da cui siamo partiti.»

Oggi non ci sono più alibi.

«Si è passati da modalità quasi discriminatorie nei confronti del medico generale che provava a prescrivere farmaci contro il dolore, all'istituzione della prescrizione speciale. Ma molti medici non la ritiravano nemmeno. Oggi che non c'è nemmeno questa e i medici non hanno più scuse. D'altra parte è vero che occorre aumentare la percentuale destinata ai farmaci anti dolore.»

Tuttavia il punto rimane un altro.

«L'intera questione non è tecnica, ma universale. È in gioco l'affermazione e il riconoscimento della soggettività della persona. »

 
Top
Ciccillo*
view post Posted on 28/5/2007, 15:17




CITAZIONE (ceppino_theangel @ 27/5/2007, 10:45)
Ciao a tutti,
vorrei discutere con voi della solitudine e dell'ostracismo, del menefreghismo e dell'umiliazione continua che nella nostra società subisce chi è malato terminale.
Già il termine "malato terminale" è inquietante: ti fa capire che non hai alternative, che da un momento all'altro tutto ciò a cui tieni di più sparirà.
Per chi soffre e per chi è vicino a chi soffre, la cosa ancor più terribile è sentire l'indifferenza collettiva, la classica pacca sulla spalla che ti dice..."coraggio.....".

Cep..secondo me... la pacca sulla spalla è figlia della paura... la paura in questo caso nasce da una scarsa educazione dei sentimenti... questo succede, mi dispiace dirlo, per lo più nella nostra nazione..dove per "educazione" l'individuo non è considerato... non ha diritti se non appartiene ad un nucleo... se non è uniformato ad uno stadard.. ed è nei momenti tragici della vita che si denota questo..ovvero che non c'è coscienza individuale..ma uso costume e forma e una grande fifa.... -_-

Considerato quanto da me sopra esposto... ^_^ sinceramente ho dato una scorsa all'articolo... esprime concetti più che giusti..ma..visto il contesto in cui viviamo recepibili da pochi... :(
 
Top
1 replies since 27/5/2007, 09:45   122 views
  Share