Capri fanfiction

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akane30
icon12  view post Posted on 11/1/2007, 16:31 by: akane30




vi posto una bellissima fanfiction scritta da BIMBA75 una fans di SERGIO ASSISI
Buona lettura a tutti


Ciao ragazze,
come annunciato ho cominciato a scrivere una breve fanfiction su Capri. E' in 3 parti. Oggi vi posto la prima.

PREMESSA: Si svolge ipoteticamente alla fine della prima serie..Umberto è stato lasciato da Vittoria che vuole ritornare a Brambate e Massimo decide di non stare con lei e partire per Roma. Villa Isabella è tornata nelle mani dei Galliano

ECCO LA PRIMA PUNTATA

Sul suo volto tirato era disegnata un’indomita rassegnazione. Sapeva di aver perduto tutto ciò che gli era stato caro fino a qualche giorno prima: non solo l’unica donna che aveva amato nella sua vita, ma anche quella profonda gioia di vivere che lo aveva aiutato sin da ragazzo a superare le più grandi sofferenze. La morte prematura dei genitori lo aveva segnato in maniera profonda. Insieme al fratello Massimo aveva cercato di reagire a suo modo a quella scomparsa. Se Massimo, dal carattere più schivo e introverso, si era barricato dietro una dura corazza per non permettere al dolore di avere il sopravvento, Umberto, aveva mascherato la disperazione dietro un sorriso gioviale e una smorfia sagace che veniva scambiata dai più come una superficialità interiore.
L’abbandono di Vittoria aveva riaperto quella ferita che non si era mai rimarginata completamente. Dopo la morte dei genitori non si era mai sentito così solo e abbandonato come in quel momento. Quegli occhi verdi più profondi degli abissi oceanici fremevano incerti di ciò che avrebbe riservato loro il futuro. Se il “re di Capri” avrebbe riso degli avvenimenti, il nuovo Umberto non vi riusciva più. Quell’amore lo aveva solcato con la forza del mare in tempesta e poi si era ritirato lasciando nella risacca i brandelli del suo cuore a pezzi. Le aveva creduto, si era completamente abbandonato a lei vedendo aleggiare attorno a quell’angelo un’aura di purezza e di candore. Solo in quel momento si accorse come fosse stata solo la sua mente a creare una visione eterea di una donna come tutte le altre. Scosse la testa ridendo di se stesso. E pensare che le avrebbe preso persino la luna se glielo avesse chiesto. Sarebbe stato disposto ad abbandonare la sua Capri per seguirla, abbindolato come uno sciocco dal quel fascino pulito e da quegli occhi di cerbiatta, che mai avrebbe creduto potessero mentire.
Era lui il superficiale, era lui lo sciupafemmine, il traditore. Chiuse gli occhi assaporando ancore il dolore della menzogna. Non poteva essere Vittoria, la sua Vittoria. Era stato uno stupido ad abbandonarsi a quel sentimento. In quell’instante ansimò sentendosi intrappolato nella stessa gabbia in cui aveva recluso molte donne in passato. Gli mancava il respiro. Amareggiato sollevò leggermente il labbro, appoggiandosi ad una colonna di Villa Isabella e scostando delicatamente la tenda dalla finestra per poter guardare il mare. Come rapito da un sogno lontano, si incantò osservando le nubi che si stavano raccogliendo minacciose del golfo di Capri.
Sebbene la villa fosse ritornata nelle mani dei Galliano dopo la condanna di Scapece, non la sentiva più sua, come se la cattiveria e l’invidia di quella famiglia avessero macchiato quei muri di un’onta incancellabile. Le stanze erano pulite e linde, ma la vergogna e la meschinità di Bianca e Domenico si erano talmente infiltrate nelle pareti rendendo l’atmosfera soffocante.
I suoi occhi limpidi si mossero da quel punto in mezzo al mare e impazienti cominciarono a cercare quello strumento che lo aveva spesso consolato anche nei momenti più tristi.
Era ancora là, nel salone della villa, ricoperto con un lenzuolo bianco, per proteggerlo dalla polvere del tempo. Sembrava attendesse che il suo proprietario se ne impossessasse nuovamente. Con un gesto veloce spostò il telo scoprendo lo strumento. Con la mano sfiorò il copri tastiera incerto e malinconico. Ricordò quanto era felice l’ultima volta che lo aveva suonato. Mentre il vento, con le sue folate cariche di umidità e di pioggia, spirando tra le tende le faceva ondeggiare, Umberto si sfilò dalla camicia uno spartito. Poi, lo appoggiò sul leggio sedendosi di fronte al pianoforte. Scoprì i tasti fissandoli per qualche secondo. Le sue mani tremavano come quelle di un ragazzino dopo il primo bacio e il suo cuore in tempesta pareva governare il fragore delle onde che in quel momento stavano infrangendosi con forza contro i faraglioni di fronte alla villa. Era solo a villa Isabella, Reginella era andata a salutare Vittoria, mentre lasciava l’isola insieme a Massimo. Lei avrebbe preso la strada per Brambate, mentre il fratello si sarebbe fermato qualche giorno a Roma per stare con suo figlio.
Sebbene un nodo gli si stesse stringendo attorno alla gola per non essere andato con Reginella, sapeva di aver fatto la cosa giusta. Congedarsi da lei in quel momento non avrebbe fatto alto che incrementare l’amarezza e il rancore verso di lei.
Quasi senza accorgersene, le sue mani cominciarono a muoversi sopra la tastiera intonando una melodia che racchiudeva e allo stesso tempo pareva sprigionare l’ardore e la passione di quel sentimento che non riusciva più a reprimere.

Tu sì 'na cosa grande per me
'na cosa ca mi fà 'nnamurà
'na cosa che si tu guarda a me
me ne moro accussì guardanno a te

Le mani esperte si muovevano sulla tastiera disegnando sogni e ricordi. Con gli occhi chiusi gli pareva ancora di poter accarezzare il corpo delicato di Vittoria, riuscendolo a incendiare con la melodia della sua passione.

Vurria sape' 'na cosa da tè
pecchè cuanno te guardo accussì
si pure tu te siente morì
nom me o dice a nun me fai capì
ma pecchè

Le lacrime gli rigavano il volto. Sebbene continuare significava affondare quella lama ancora una volta nel suo cuore, non riusciva a fermare le mani che gemevano, gridavano quell’amore che gli aveva spezzato l’anima. La melodia di quella canzone riecheggiava per le stanze vuote della villa pulsando di passione non corrisposta. I suoi sensi erano talmente inebriati dalla melodia, da non accorgersi che sulla soglia, appoggiata alla porta lo stava osservando Vittoria, che non era riuscita a partire senza congedarsi da lui.

A dille'na vota sola
che pure tu stai tremmanno
dimmi ca me vuò bene
comm'io, comm'io, comm'io voglio bene a te

Infreddolita e bagnata come un pulcino, la giovane lo ascoltava tremando. Voleva allungare una mano, accarezzargli il volto ancora una volta e fargli capire che gli voleva bene, che non aveva mai smesso di volergliene. Ma come avrebbe reagito? Non le avrebbe forse urlato in faccia e con ragione il suo disprezzo? Titubante lo ascoltò rapita, incapace di compiere qualsiasi gesto, lasciandosi accarezzare dal calore di quella voce che pareva scaldarla sebbene fosse fradicia di pioggia.
Quando raggiunse l’apice della melodia, Umberto ribaltò la testa all’indietro cercando di scacciare le lacrime che stavano avendo il sopravvento.

Tu sì 'na cosa grande pe'me
'na cosa ca tu stessa non saie
'na cosa ca nun aggio avuto maie
'nu bene accussì, accussì grande

Singhiozzò le ultime strofe piegandosi sullo strumento come per cercare conforto da quell’amico che non l’aveva mai tradito.

seconda puntata

Vedendolo affranto, l’equilibrio di Vittoria si fece vacillante costringendola ad appoggiarsi alla porta di legno del salone. L’anta scricchiolò lievemente, ma quel cigolio venne percepito dal fine udito di Umberto. Alzò il capo di scatto cercando di cancellare le lacrime e recuperare il contegno che aveva perso credendo di essere solo. Quando il suo sguardo incrociò quello della ragazza deglutì rimanendo senza parole. Sentiva il sangue rombargli nelle orecchie e avvampargli il volto. Non riusciva a comprendere se si trattasse di ira o di desiderio. Un unico pensiero gli attraversò la mente: non far trasparire quanto la sua presenza lo emozionasse. Come un esperto attore indossò quella maschera ironica che lei ben conosceva. Ondeggiando le anche per scimmiottarla si allontanò dal pianoforte per dirigersi verso di lei.
“Guarda Guarda chi c’è!” Esclamò con sarcasmo. “La banderuola di Brambate!” Enfatizzò il suo gesto indicando il vento freddo che spirava dalle finestre “E’ cambiato di nuovo il vento Vitto’?”
Incapace di replicare alle sue parole Vittoria rimase in silenzio abbassando lo sguardo. “O hai semplicemente dimenticato gli occhiali? Guardami Vitto’ non sono Massimo…! “
“Lo so!” Mugolò tra le labbra livide dal freddo. Tremava come una foglia, ma Umberto finse di non accorgersene.
“Cosa vuoi?” Quella domanda schietta, dura, calcolata la trafisse con tutta la sua freddezza.
Non azzardando ad alzare il volto per paura di incontrare quelle perle verdi che gli costellavano il viso mormorò. “Non potevo partire senza dirti…”
“Senza dirmi cosa?” La interruppe sbraitando. Punto i piedi a terra, obbligandoli a fermare quella falcata che li avrebbe condotti sino a lei. Era cosciente che se si fosse avvicinato ancora qualche passo non sarebbe più riuscito a controllare l’istinto che lo spingeva ad abbracciarla e ad accoglierla tra le sue braccia per poterla riscaldare.
Inspirò profondamente cercando di riacquisire la calma perduta.
Addolcendo il tono, si volse nuovamente verso il pianoforte.
“Vitto’ in questi giorni ho capito una cosa, una cosa importante!” Fece una pausa per trovare le parole giuste. “Questo sentimento mi opprimeva il cuore, lo soffocava!” Sorrise ironicamente. “Ho sempre saputo che tu non saresti mai stata completamente mia, ma mi sono illuso che tu mi potessi amare…Mi sono illuso….” Ripetè cercando di convincere se stesso. “Avrei dovuto capirlo immediatamente, ma sono stato cieco…solo ora ripensando agli sguardi per Massimo…” Si interruppe per non farsi prendere dalla commozione. “Lo guardavi nella stessa maniera in cui io ti ho guardato in tutti questi mesi!” Come un violino stonato abbassò le spalle ripiegandosi su se stesso come un grande ebano inaridito. Se solo avesse alzato gli occhi in quell’istante avrebbe potuto leggere negli occhi di Vittoria una rivelazione a lungo negata persino a se stessa. Scosse impercettibilmente la nuca imponendosi di reagire. “Sarei uno stupido a negare tutto questo, sarei uno stupido a non desiderare la felicità delle due persone che ho amato di più nella mia vita! I miei gioielli!” La voce gli si strozzò in gola non riuscendo ad articolare con chiarezza le ultime parole.
“Umberto!” Mugolò Vittoria. Pronunciò il suo nome con calore e con una passione di cui lei stessa si sorprese. Sgranò le pupille febbricitanti, osservandolo avvicinarsi alla porta del terrazzo. Udendo la sua voce il giovane arrestò il suo passo spalancando gli occhi sorpreso. Per un istante aveva avuto l’impressione che Vittoria volesse dichiarargli il suo amore.
Sollevò il labbro sarcasticamente. Non doveva permettere al suo cuore di illudersi nuovamente, di sperare ancora.
“Grazie per essere venuta!” Esclamò con distacco. “Grazie, ora finalmente sono libero!” Spalancò le braccia enfatizzando il suo gesto e sforzandosi di sorridere. “Il re di Capri è di nuovo sulla piazza Vitto’…da troppo tempo mi stavo risparmiando…Va Vittoria, va da Massimo…” Sebbene quelle parole non rispecchiassero minimamente i sentimenti che si agitavano nel suo cuore, doveva a se stesso questo slancio di orgoglio. Non desiderava che lei lo considerasse un mentecatto impazzito per amore di una donna che non era nemmeno riuscita a rimanergli fedele.
La ragazza avrebbe voluto ribattere con quella caparbietà, con cui era sempre riuscita a tenergli testa, ma si sentiva debole e incapace di reagire, come se il discorso che si era preparata non riuscisse a valicare i confini delle sue labbra. Sbattè le palpebre cercando di focalizzare ancora una volta la figura di Umberto, ma gli occhi pesanti non riuscivano più a rimanere aperti.
Umberto preferì non dare cenno di interesse nel momento in cui la ragazza si sarebbe allontanata così attese qualche minuto prima di voltarsi.
Non percependo alcun rumore, volse una fugace occhiata verso l’uscio per accertarsi che Vittoria non fosse più presente.
Pallida, immobile, con la bocca spalancata, ma ammutolita Vittoria lo osservava tremante. Trafitto dall’ardore di quello sguardo annaspò confuso. Rinfrancata da quegli occhi che l’avevano accarezzata, amata, fatta sorridere e le avevano insegnato la gioia di vivere alla giornata, ritrovò in un ultimo afflato il vigore per riuscire a gemere. “Umberto, non è come pensi!” Poi, si accasciò a terra priva di sensi.

terza puntata

Spaventato e atterrito le corse in contro. Mentre percorreva quei pochi passi vide scorrere lentamente davanti ai suoi occhi i fotogrammi di quell’amore che lo aveva consumato nel corpo e nell’anima.
“Vittoria!” Il suo gemito disperato riecheggiò attraverso le stanze vuote della villa. Con frenesia la accolse tra le sue braccia. “Amore mio!” Il suo cuore prese parola. Quel sentimento che aveva taciuto davanti a lei per non essere sbeffeggiato, esplose con la potenza dell’uragano. Con occhi tremanti avvicinò le dita affusolate e tremanti alla sua fronte. Per un attimo esitò. Aveva paura di toccarla. Poi, appoggiando il palmo sulla sua nuca, si accorse che Vittoria scottava. Si morse le labbra. “Tieni duro Vitto’! Tieni duro amore mio!” La sollevò, appoggiandole con delicatezza il capo al suo torace. Vittoria, priva di sensi, si sentiva sprofondare tra le onde dell’oblio. Solo un ritmo sordo, regolare e conosciuto manteneva ancora saldo quel filo che la legava alla vita. Quel battito famigliare la rinfrancava e quell’aroma di salsedine e cannella le impedivano di annegare nel limbo eterno.
Con Vittoria tra le braccia Umberto attraversò ad ampie falcate l’ingresso. Dopo aver fugacemente rivolto lo sguardo verso l’entrata si accinse a salire l’ampia gradinata per farla riposare in quella che un tempo era la sua stanza.
“Reggine’!” Il suo urlo riecheggiò per l’androne. “Reggine’!” Singhiozzò disperato percorrendo gli ultimi gradini. Chiamava l’anziana signora con la speranza che fosse già rientrata dal porto.
“Umbe’!” Quella voce freddò il suo passo. Reginella, che aveva appena varcato la soglia della villa, accompagnata da Totonno che premurosamente l’aveva protetta dal diluvio scatenatosi sul golfo di Napoli, sbiancò improvvisamente vedendo il corpo privo di sensi della nipote. Le sue braccia lunghe e sottili scivolavano lungo le gambe di Umberto come salici abbandonati.
Dalla cima del grande scalone Umberto dilatò le pupille come un bambino che temeva di perdere la cosa più cara. “E’ svenuta!” Balbettò. “Toto’ va a chiamare il medico! Vittò sta male!”
Con passo veloce la donna li raggiunse al piano superione, dove Umberto la adagiò delicatamente sul suo letto.
“Lasciami fare!” Lo invitò ad allontanarsi per permetterle di toglierle i vestiti inzuppati. “Vittò ho perso Angela…non mi fare nessuno scherzo ora…Non te lo perdonerei!” La rimproverò amorevolmente, mentre la stava coprendo con una coperta calda.
Umberto, ritiratosi silenziosamente in un angolo della stanza, osservava le abili mani di Reginella prendersi cura della nipote. Senza allontanare lo sguardo da loro, cominciò a mordersi nervosamente le unghie. Non riusciva a pensare che a lei: “Non deve morire, non può!” Ripeteva alla sua mente, mentre le ombre che si rincorrevano nella stanza parevano aver conquistato le pareti della sua anima.
“Umbe’!” La voce di Reginella lo fece trasalire, distogliendolo da quel pensiero fisso. “Aiutami Umbe’! Va in cucina a prendere un catino con dell’acqua fredda!”
Senza proferir parola ubbidì alle parole della donna. Mentre scendeva le scale udì lo squillo del suo cellulare. Tentennò per un istante, poi, riconoscendo il numero di Massimo, rispose alla chiamata.
“Umbe’ sono appena arrivato a Napoli! Eduardo e Nicola mi sono venuti incontro così domani sarò nuovamente a Capri!” Esclamò entusiasta, non accorgendosi dei turbamenti del suo interlocutore. “Lo volevo dire a Vittoria, ma non risponde al telefono..è li con te?” Domandò con spensieratezza.
“Si!” Riuscì a mormorare mestamente, mentre un nodo gli si era stretto attorno alla gola..
Massimo allora lo incalzò. “Non starete litigando, spero?” Replicò giovialmente. “Ti chiedo solo una cosa Umbe’, ascolta quello che ti deve dire prima di giudicarla!”
Umberto rimase in silenzio, un silenzio che venne interpretato dal fratello come un assenso.
“Mi vuoi passare Vittoria per favore?” Il tono dapprima allegro, si riempì lentamente di preoccupata impazienza.
“Non posso!” Mugolò come un bambino.
Temendo il peggio, Massimo cominciò ad alterarsi. “Non avrai fatto una pazzia, vero Umberto? Dimmi che non le hai fatto del male!”
“Farle del male?” Pensò. Deglutì in silenzio. Con gli occhi mesti guardò il cellulare domandando a se stesso, se il suo comportamento non l’avesse ferita profondamente. Come illuminato da un bagliore, trovò la forza di parlare. “Devi venire Massimo, lei ha bisogno di te. E’ svenuta, ha la febbre molto alta...tra poco arriverà il dottore!” Scandì quelle parole quasi meccanicamente, poi, senza attendere la risposta del fratello, riattaccò spegnendo il telefonino. Aveva un compito prioritario da compiere: portare l’acqua a Reginella.
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Quando finalmente giunse nella stanza di Vittoria si accorse che il medico aveva già visitato la paziente ed era pronto ad emettere la sua diagnosi. Reginella, allora attese impaziente il suo responso.
“State sereni, non è niente che non si possa superare con una bella dormita e tanto riposo!” Esclamò con un sorriso. L’anziana signora e Umberto sorrisero alleggeriti, come se parole del dottore fossero riuscite ad alleviare il fardello che pesava sul loro cuore. “Tuttavia…” Proseguì, sedando gli entusiasmi. “Non appena la febbre sarà scesa, vi consiglio di accompagnarla a Napoli, al Cardarelli, per degli accertamenti. Sono certo che il malore sia da ricondursi allo stato generale di spossatezza della ragazza, ma una visita specialistica servirà a dissipare qualsiasi dubbio.”
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Dopo aver accompagnato il dottore all’uscita ed averlo ringraziato per il suo pronto intervento, Umberto ritornò da Vittoria. Seduta accanto a lei Reginella spostava le sue ciocche madide di sudore che le ricoprivano la fronte, cercando di darle sollievo con la pezzuola imbevuta d’acqua fresca. Vedendola delirare, l’anziana ansimò con gli occhi pieni di commozione.
“Va a riposare Umbe’! Sto io con lei!” Senza distaccare lo sguardo dalla nipote lo invitò con dolcezza ad andarsi a coricare. “Troppe emozioni per la mia Vittoria!” Proseguì accarezzandola come avrebbe voluto fare tante volte con la figlia Angela.
Opporsi era inutile, quindi le si avvicinò per augurarle la buona notte. Si chinò su di lei baciandole la guancia con affetto filiale. “Buona notte Reggine’!” Le sussurrò all’orecchio, mentre la donna sorrise “Sei un bravo cagliò!” Umberto allora sfiorò quasi impercettibilmente la mano di Vittoria ancora priva di sensi, ritirandosi nella sua stanza.

Rientrando nella sua stanza Umberto si tuffò sul letto. Voleva sprofondare, annegare, dimenticare tutto e risvegliarsi la mattina seguente sorridendo al nuovo giorno. Per un breve istante desiderò che Vittoria non fosse mai entrata nella sua vita. Avrebbe potuto così continuare ad essere lo spensierato guagliò che faceva perdere la testa alle donne provenienti da mezza Europa. Lei, invece, a poco a poco si era insinuata nella sua vita e prima che potesse rendersene conto, il suo cuore ne era stato disperatamente conquistato. Dopo essersi rigirato più volte tra le coperte si alzò bruscamente dirigendosi verso scrivania. Si guardò per qualche istante allo specchio. I capelli arruffati gli scendevano in maniera scomposta lungo la fronte. Si diede uno schiaffo cercando di cambiare quell’espressione affranta che gli ricordava i giorni trascorsi in prigione. “Povero Umberto!” Esclamò sornione. “Che brutta faccia che c’hai! Imprigionato ora dietro le sbarre di questo amore! E da questa Umbe’ non ci si riece a liberare così facilmente!”
Come illuminato da un’idea improvvisa, aprì il cassetto dello scrittoio alla ricerca di una penna. Senza indugiare, cominciò a riversare sul foglio quel tumulto incandescente che gli stava infuocando l’anima.

“Non è come tu pensi! Hai concluso così quella mezza frase Vitto’ scivolando lentamente a terra e lasciandomi con questo dubbio che mi attanaglia la mente. Come fai a sapere quello che io penso Vitto’? Te lo sei mai chiesta fino in fondo? O ti sei sempre limitata ad accettarmi nella tua vita come ripiego, fintanto non trovassi il vero amore? Mi disprezzo Vitto’, non riesco più ad accettarmi, poiché un uomo con un minimo di orgoglio ti odierebbe per come ti sei comportata, invece io, mi sento come un cagnolino affamato che attende sotto al tavolo le briciole che cadono dal piatto del padrone…attendo un tuo sguardo una tua parola, un tuo gesto gentile per potermi illudere ancora. E fingo, fingo come il più grande degli attori teatrali, attendendo che dalla platea si levi un ultimo applauso, fingo di disprezzarti, fingo la collera, mentre desidererei soltanto poter annullarmi nel profumo della tua pelle candida, morbida e sensuale. Hai usato con me quell’arma affilata e misteriosa, ed io sono caduto ai tuoi piedi come un bambino. No, non c’era finzione in tutto quello. Non posso, non voglio credere che quando chiamavi il mio nome come una sirena ammaliatrice mentre sfioravo i tuoi seni turgidi facendoti travalicare i confini del piacere, tu stessi pensando a un altro. Mi annienterebbe credere di non averti mai veramente conosciuta. Chi sei Vittoria? Chi sei? Quando ti ho tenuta tra le braccia questa sera, ho avuto per un secondo l’impressione che tu avessi scelto me! Ma mi illudevo di nuovo…sono mendicante del tuo amore, ma tu non lo saprai mai…Non dovrai mai sapere che non ci sarà un’altra per me. Si, starò con altre donne, vivrò mille avventure ancora ne sono sicuro, ma nessuna sarà come te. Vedendomi così spavaldo gli angeli del cielo si sono burlati del mio cuore forgiandolo solo per amare solo te. E sul mio cuore la lama sottile dell’amore ha cesellato solo un nome: il tuo. Guarisci presto Vitto’. E vai lontano da me, non riuscirei ancora a sopportare quello sguardo che prima mi apparteneva, o almeno credevo mi appartenesse, annullarsi in quello di mio fratello. Se mi hai voluto un po’ di bene Vitto’ lascia Capri! Altrimenti la mia volontà non sarebbe abbastanza forte e attenderei nell’ombra che tu attraversassi i vicoli e la piazzetta e le chiederei di rallentare il passo affinché io potessi godere almeno della sua compagnia.
Ti amo Umberto

Concluse quella lettera singhiozzando. Prese il foglio tra le mani con l’intento di farlo a pezzi. Lo fissò a lungo, poi lo ripiegò infilandolo nel cassetto. “Non è giusto farti leggere queste righe Vittoria, non è giusto.”
Con un scatto repentino si scrollò le spalle dalla stanchezza, stiracchiandosi leggermente sulla sedia. L’orologio batteva le tre, ma sapeva che se avesse provato a ritornare sotto le coperte non sarebbe riuscito a prendere sonno.
Camminò a lungo nel corridoio davanti alla stanza di Vittoria fino a che non si decise ad entrare. Reginella, come una piccola vedetta, faceva guardia alla nipote senza chiudere occhio. Vedendolo entrare, l’anziana signora sorrise.
“Hai bisogno di riposare Reginella, veglierò io su di lei!” Sussurrò a fior di labbra.
La donna provò ad obbiettare, ma Umberto la incalzò. “Ti prego, Reginella, è forse l’ultima volta in cui mi potrò prendere cura di lei! Ti prego!” Il suo sguardo supplichevole la convinse a cedergli il posto.
“Vado a stendere un po’ le gambe! Tornerò più tardi!” Concluse l’anziana accarezzando Umberto sulla spalla. Non appena Reginella ebbe abbandonato la stanza, il giovane si sedette accanto all’amata.
Con delicatezza le prese la mano, ne osservò il palmo baciandolo con trasporto. “Se solo tu mi potessi amare!” Scottava. Le accarezzò i polsi con una pezzolina fresca, pregando nel suo cuore che la giovane si riprendesse presto. Vigile, Umberto seguiva le linee della fronte imperlata di sudore scendere sul quel naso delizioso, per terminare su quelle labbra carnose, che la febbre faceva brillare.
Le ore trascorrevano, ma la temperatura non accennava a diminuire. Vittoria delirava, borbottando frasi incomprensibili all’attento orecchio di Umberto, che non aveva chiuso occhio nemmeno per un minuto per non lasciarla sola.

Persa nel suo mondo onirico, Vittoria andava a tentoni alla ricerca di una strada che la conducesse fuori dell’oscurità. Nel buio della notte, scorse una fiammella che la attirava magneticamente. Era il faro di Capri che come un titano squarciava l’oscurità. Improvvisamente si accorse che sebbene i suoi piedi fossero fermi, il suo corpo continuava ad avanzare verso la baia in un continuo ondeggiare. Insicura si guardò intorno, chiedendosi cosa stesse accadendo. Dal nero che la circondava, emersero le forme di una barca che si andarono delineando a mano a mano che si appropinquava al porto. Era sulla Giulia, condotta da un Massimo sorridente. “Vittoria vieni qui!” La incoraggiò a raggiungerlo a prua. Non si fece ripetere l’invito, affondando il volto su quel torace che spesso l’aveva accolta e consolata. Quando il giovane chiuse le braccia attorno a lei per darle conforto, uno strano brivido le percorse la schiena. Senza allontanarsi forzò un sorriso.
“Prendi Vittoria il timone! Il nostro amore ci renderà padroni del mondo!” La incalzò l’uomo, facendo scivolare le mani possenti lungo i suoi fianchi. Quel contatto invece di lusingarla, la mise in un disagio che prima non conosceva. Scosse la testa confusa, doveva trattarsi solo di stanchezza. Decise allora di concentrarsi solamente sulle condizioni del mare; non voleva deludere Massimo e perdere la rotta. Mentre la Giulia solcava placidamente le acque sotto i faraglioni, le parve di udire un canto, un richiamo lontano, era una melodia. Più si avvicinava a quei maestosi monumenti naturali, più quel canto ebbro di malinconia e di amore non corrisposto riusciva a insinuarsi nei suoi pensieri, facendola vacillare. Chiuse per un attimo gli occhi. Quando li riaprì, ebbe un tentennamento. La Giulia stava varcando un fitto banco di nebbia. “Massimo!” Lo chiamò, ma lui non era più al suo fianco. “Massimo!” Urlò disperata temendo che l’avesse abbandonata. In quell’istante la nebbia si diradò, lasciando spazio a un luogo pieno di luce, di aromi delicati e di gustose fragranze. Come per incanto la barca era scomparsa, e lei si trovava circondata dal roseto in fiore del giardino di villa Isabella. Il suo olfatto la deliziava di un sapore caldo, fragrante, come quello del pane appena sfornato da Reginella e della delicata freschezza del bucato appena steso da Amalia. Sorrise felice. La sua attenzione venne attratta da delle risate gioiose di bambini che si rincorrevano allegri. Scivolò sotto l’ombra dei grandi alberi del giardino per vedere se Alan e Nicola non stessero combinando un’altra delle loro birichinate, ma con sua sorpresa si accorse della presenza di tre fanciulli a lei sconosciuti. I due maschietti e la femminuccia tenendosi per mano canterellavano una attorno a un uomo di cui non riusciva a vedere il volto.
Rimase ad osservare per qualche istante quella scena famigliare, sentendo come se una parte del suo cuore le appartenesse. Alla fine della conta l’uomo li prese uno ad uno in braccio, facendoli volteggiare nell’aria. “Papa ancora!” Esclamò la più piccola attaccandosi alla sua gamba. I suoi riccioli biondo cenere vibravano all’ombra della vegetazione mediterranea.
“Piccola birbante!” Borbottò fingendo di essere arrabbiato. Poi, rotolandosi sull’erba, la fece nuovamente piroettare sulla sua testa. Poi richiamandola a sé cominciò a farle il solletico. La bambina rideva spensierata. “Basta papà, Basta!” Ridacchiava senza contegno. “E’ inutile Angela! Dovrai chiedere pietá e dare un bacio enorme al tuo papà se vuoi che smetta!” Udendo quel nome, il sangue raggelò nelle vene di Vittoria. Non poteva credere alle sue orecchie. La sua memoria aveva già riconosciuto la voce di quell’uomo, ma la sua mente non voleva darle credito. Mentre quel signore continuava a mordicchiare la pancia della bambina, Vittoria avanzò verso di loro. “Ciao!” Salutò i due maschietti con gentilezza. Riconoscendo la sua voce, la piccola Angela sollevò il volto dalla faccia del padre chiamandola. “Enrico, Matteo la mamma si è svegliata!” I bambini corsero verso di lei abbracciandola. Ebbe un capogiro. Cosa le stava succedendo? Chi erano quei bambini e perché la chiamavano mamma? Non si era mai sentita così confusa in vita sua, tuttavia li assecondò e li seguì fino alla radura dove Angela e il padre stavano giocando. In quel momento l’uomo allungò una mano. La agguantò, facendola morbidamente cadere su di sè. “Ecco ho preso la mia principessa!” Sebbene frastornata da quella novità, non seppe trattenere un sorriso. “Umberto che hai fatto?” Domandò accarezzandogli dolcemente il volto e avvicinando le labbra alle sue. Il giovane non si fece ripetere l’invito e facendole scivolare una mano dietro alla nuca l’aiutò a distendersi sull’erba. I bambini felici cominciarono a saltellare ripetendo:”Ora si baciano, ora si baciano!” Umberto, con la coda dell’occhio li riprese scherzosamente “Bambini…non avete nient’altro da fare?”
“No no !” Fu la loro risposta ilare.
Anche Umberto sorrise, perdendosi poi nello sguardo etereo di Vittoria. “Se non fossi già mia moglie…” Le sussurrò all’orecchio “Ti chiederei nuovamente di sposarmi!” La giovane arrossì imbarazzata dalla presenza di quelle piccole canaglie. “Scemo!” Replicò fingendosi imbronciata, poi addolcendo il tono e scompigliandogli il ciuffo che le copriva la fronte aggiunse “Sei un padre stupendo!”
“E tu…” Umberto voleva replicare ,ma la donna non gli permise di concludere la frase, chiudendogli la bocca con un bacio. Il suo cuore non aveva più titubanze e lei poteva finalmente condividere la vita con quell’uomo che ora comprendeva di aver sempre amato!”

Vedendola sorridere nel sonno, Umberto avvicinò le labbra alla sua fronte. Si era rinfrescata. Un’immensa gioia gli percorse la cute. Aveva voglia di aprire la finestra e di gridare al mondo che Vittoria stava meglio. Cercò di trattenere l’entusiasmo tuttavia non seppe resistere alla tentazione di accovacciarsi di fianco a lei. Perdendosi nelle linee delicate del suo volto incominciò inconsapevolmente ad accarezzarle la fronte. Le sue labbra la reclamavano come l’aria. Con un tocco quasi effimero, sfiorò la sua bocca con un bacio. Vedendo le sue labbra allargarsi in un sorriso, approfondì quel tocco perdendosi qualche istante in quell’aroma che nemmeno la malattia era riuscita a cancellare. “Perdonami Vittò!” Si scusò per quel bacio rubato ed esausto si lasciò cadere sulle lenzuola di fianco a lei.

QUARTA PUNTATA- PARTE PRIMA

I due giovani riposarono beatamente fino a quando i primi raggi del sole fecero capolino tra le tende. Reginella allora entrò quattamente nella stanza di Vittoria. Vedendo Umberto accovacciato come un bambino di fianco alla nipote, sorrise dolcemente. Con la mano destra distesa sul ventre della ragazza pareva volesse proteggerla da qualsiasi pericolo. “Quanto sono belli i miei ragazzi!” Mormorò estasiata da quel quadretto incantevole.
Poi si avvicinò a Vittoria per verificare se la febbre fosse scesa. Percependo l’ombra di una mano allungarsi verso di loro, Umberto aprì gli occhi di scatto.
Con sguardo materno Reginella osservò quelle perle verdi ancora assonnate squadrare il mondo circostante come se lo avessero visto per la prima volta. “Ti ho fatto ‘nu caffè! Te l’ho tenuto in caldo in cucina!”
“Nu caffè!” Ripetè Umberto ancora cercando di capacitarsi di quello che stava accadendo attorno a lui. “Nu caffè!” Sorrise sollevandosi dal letto. Rivolse ancora un fugace sguardo a Vittoria che dormiva serena, poi si lasciò guidare dall’aroma di quella bevanda calda, intensa che lo avrebbe aiutato a cominciare la giornata nel migliore dei modi.
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Mentre mescolava lentamente lo zucchero nella tazzina udì la voce di un bambino provenire dalla scalinata. Chiamava la sua Vittoria. Riconobbe immediatamente Nicola e dedusse che Massimo stesse salendo da lei. Ingurgitò il caffè velocemente scottandosi il palato.”Mannaggia a me!” Borbottò, affrettandosi mandare giù un bicchiere d’acqua per rinfrescarsi la gola.
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Nella piccola stanza la ragazza si era appena svegliata. Reginella la mangiava con gli occhi, non le pareva vero che la sua nipotina si stesse riprendendo così velocemente. “Vuoi sederti Vittò?” Domandò con premura e la ragazza annui silenziosamente. Allora Reginella le posizionò un cuscino dietro la schiena per aiutarla a tenere il busto eretto.
“Ora va meglio, grazie nonna!” Emise un gemito fievole.
“Vuoi qualcosa da bere tesoro?” Voleva coccolarla come non aveva mai fatto con Angela.
“Un po’d’acqua, magari!”
Mentre Reginella si stava accostando al tavolino dove aveva deposto una caraffa piena d’acqua, Nicola valicò la porta della stanza con la furia di un piccolo tornado. Felice di vederla sveglia, si gettò amorevolmente tra le sue braccia.
“Vittoria!” Gridò. “Ci hai fatto stare tanto in pensiero!”
“Mi dispiace!” Replicò dandogli un buffetto sul naso, fissando gli occhi di Massimo che esprimevano tutta la sua apprensione.
“Come ti senti?“ Le domandò l’uomo avvicinandosi per baciarla sulla nuca.
“Molto meglio! Deve essere stata solo stanchezza! Ma se sono guarita così prontamente, lo devo solo a Reginella…con quelle mani sarebbe capace di fare miracoli!”
Massimo le rivolse un sorriso appassionato, prendendo posto accanto a lei. Memore del sogno fatto la notte precedente Vittoria abbassò lo sguardo arrossendo imbarazzata. Massimo confuse quel gesto timido, con il timore di enfatizzare il sentimento che li univa di fronte alla nonna.
“Beh non devi ringraziare solo me!” Esclamò umilmente Reginella attirandosi la loro attenzione. “C’è un giovanotto che ha vegliato su di te tutta la notte, non lasciandoti un istante sola!” Mentre stava concludendo quella frase, Umberto scivolò dentro la stanza attraverso la porta che era stata lasciata aperta da Massimo.
Sentendosi gli occhi puntati addosso, finse indifferenza e, roteando le pupille, cercò una battuta che lo potesse sollevare da quella condizione di imbarazzo. Poi, spalancando le braccia, affermò scherzosamente. “Non è stato un peso, sono abituato a ben altro nelle mie notti brave!”
Vittoria non seppe trattenere un risolino. “Non cambierai mai!” Replicò con complicità.
“Mai!” Rispose ridendo, dimentico per un istante dei dissapori che li avevano allontanati. Massimo li osservò, sentendosi per un istante un terzo incomodo. Il sorriso che si era stampato sul volto di Umberto alla vista di Vittoria, venne offuscato dalle nubi dei ricordi. che Quegli occhi più lucenti del mare parevano annebbiarsi sotto la fitta coltre della disillusione.
Notando il suo stato d’animo, Massimo lo invitò ad uscire dalla stanza per scambiare qualche parola.
“Nicola, rimani tu con Vittoria e Reginella, mentre io e lo zio parliamo?” Il bambino annuì contento.
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Scesi nello studio rimasero per qualche tempo in silenzio, nessuno dei due aveva intenzione di incominciare quella conversazione che sarebbe stata sicuramente sgradevole.
Massimo incominciò ad agitarsi. Si passò le mani più volte tra i capelli biondi alla ricerca di una soluzione che lo convincesse. Poi, appoggiando entrambe le mani alla libreria, affermò sconsolato.
“Te l’ho già detto una volta, sarei molto felice se lei tornasse con te! Vedendola questa mattina ho compreso che è ciò che desidera anche lei!”
“Le cose sono cambiate Massimo!” Esclamò Umberto parendo non aver udito le sue parole. “Non sono più sicuro che questo sia ciò che voglio veramente!” Replicò deciso.
“O menti o sei impazzito! Umbe’ tu hai bevuto…Vittoria è l’unica donna che tu abbia mai amato. Ho visto come vi guardavate, anche uno stupido avrebbe riconosciuto la complicitá che si è instaurata nuovamente tra voi!” Scandì quelle parole, ben conscio che avrebbe dovuto rinunciare a quell’amore che lo aveva aiutato ad uscire dal tunnel della disperazione.
“A volte l’amore non basta, soprattutto se non è corrisposto! E’ inutile che cerchi di convincermi del contrario. Negli occhi di Vittoria vi era solo gratitudine, non amore come lo chiami tu. Non sei più credibile Massimo! Inoltre…” Sospirò amaramente indicandosi il torace. “Mi fidavo di voi, ciecamente…mi fidavo della sua faccia pulita e dei suoi occhi da cerbiatta innocente…mentre voi mi avete trafitto il cuore con un cuneo affilato! No, non si può costruire un rapporto sulla disillusione, quando la guardo negli occhi, riecheggiano nelle mie orecchie le parole di quel dannato nastro…quelle parole che mi hanno soffocato l’anima! Avrei preferito morire piuttosto che scoprirlo in quel modo. La vostra menzogna ha distrutto ogni mia speranza. Non c’è più futuro per noi..” Esalò quelle parole come le ultime di un testamento sofferto.
“Ma tu la ami ancora, forse più di prima e anche lei..”
“Basta Massimo!” Aggiunse con tono scanzonato, cercando di sdrammatizzare la situazione. “Non mi importa! E smettiamola con queste sceneggiate…altrimenti il grande Mario Merola, che il Signore lo abbia in gloria, si rivolterà nella tomba”
Senza fiatare, ma con sguardo inquisitorio, Massimo gli puntò l’indice contro.
“Io?” Enfatizzò Umberto con una risatina isterica. “Io sarei il re delle sceneggiate?” Massimo annuì. “Incredibile!” Aggiunse Umberto dandogli le spalle. Rideva forzatamente, esagerava quell’ilarità per non far comprendere a Massimo quanto le sue parole lo avessero colto nel segno. Lui l’amava ancora, forse in maniera più passionale e completa di prima.
“Accompagnerai Vittoria a Napoli? Il medico ha detto che deve fare degli accertamenti il più presto possibile!” Gli domandò, seriamente cambiando tono e argomento.
“Mah” Balbettò Massimo. “Pensavo volessi andare tu!”
Umberto sollevò la mano, la sventolò con finto disinteresse e dirigendosi verso la terrazza per non dare ancora spettacolo di sé e mostrare la vera natura dei suoi sentimenti, si congedò da lui.
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Qualche giorno più tardi Massimo e Vittoria erano sull’aliscafo che li avrebbe condotti a Napoli. Nicola era rimasto con Reginella e Umberto che avevano promesso si sarebbero presi cura di lui. Appoggiata alla balaustra della nave Vittoria sospirò triste. I suoi occhi nostalgici non intendevano abbandonare l’amata Capri anche se a mano a mano che si avvicinavano alla cittá partenopea, diventava un punto sempre più piccolo all’orizzonte. Ripensava ad Umberto e a come aveva cercato di evitarla in quei giorni di convalescenza. Si rimproverava di non aver trovato il coraggio per concludere la discussione incominciata quella notte piovosa, ma era sicura che le sue forze non glielo avrebbero concesso. Sebbene la febbre le fosse scesa, si sentiva ancora molto debilitata e stanca. La rincuorava solo ripensare allo sguardo solare di Umberto quando le aveva dichiarato di aver vegliato su di lei tutta la notte. “Magari quel sogno si potesse realizzare!” Mormorò a denti stretti. Quel sogno aveva infatti fugato ogni suoi dubbio. Si ripromise di riconquistare la sua fiducia e anche il suo amore non appena fosse rientrata a Capri. “Non so ancora come farò, ma un modo devo trovarlo..So bene che Umberto è un orgoglioso e mi darà del filo da torcere” Riflettè trasognante “Ma dovrò riuscire a farmi perdonare!”
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Erano finalmente arrivati nel più grande ospedale del mezzogiorno. Vittoria ne aveva sentito parlare solo da articoli di cronaca, ma era decisa di non farsi influenzare dai pregiudizi verso quella struttura ospedaliera
“Hai paura?” Le domandò Massimo avanzando verso il reparto di medicina interna vedendola tentennare.
“Un po’!” Esclamò porgendogli la mano affinché gliela potesse stringere.
“Ma tu stai tremando!”
Vittoria sorrise. “Sai sin da quando ero bambina ho sempre odiato gli ospedali!”
“Vedrai!” Aggiunse l’uomo “Andrà tutto bene. Io starò sempre con te”
“Grazie!”
Massimo l’accompagnò a fare gli esami prescritti dal medico che includevano prelievi del sangue, un elettrocardiogramma e un ecografia addominale. In attesa che il medico li chiamasse per l’ultimo esame, Vittoria e Massimo sedettero silenziosi nella sala d’aspetto. Massimo le teneva la mano, sussurrandole all’orecchio che sarebbe andato tutto bene.
“Sei magnifico Massimo!” Mormorò “Ogni donna vorrebbe avere un uomo come te al suo fianco!”
L’uomo sorrise amaramente. “Peccato che l’unica che amo non si renda conto di essere irrimediabilmente innamorata di mio fratello!”
Vittoria forzò un sorriso malinconico. “Ho fatto male ad entrambi e me ne dispiace!” Aggiunse avvicinando una mano al suo volto. “Ma ho preso una decisione, ora so quello che voglio!” Massimo chiuse gli occhi attendendo il verdetto che avrebbe condannato il suo cuore a far sopperire definitivamente quel sentimento che era cresciuto in lui negli ultimi mesi. Vedendolo affranto, Vittoria avvicinò una mano alla sua guancia, ma l’uomo si ritrasse. “Meriti una donna migliore di me Massimo, una donna che ti sappia apprezzare fino in fondo e desidero che tu non dimentichi mai che tu sei e sarai sempre il mio migliore amico…”
L’uomo rise ironicamente. “Non sono come Umberto, non mi accontenterò mai delle briciole, Vittoria!”
La ragazza lo squadrò non capendo la durezza delle sue parole. Voleva replicare, ma in quel momento il medico li invitò ad accomodarsi nell’ambulatorio.
Dopo aver brevemente salutato la paziente cominciò con il verificare la salute dei reni, scendendo poi verso il fegato e la cistifellea per terminare con la vescica. Vittoria seguiva senza fiatare sullo schermo l’esame ecografico. Non era facile interpretare l’esito della visita attraverso l’espressione imperturbabile del luminare. Mentre spostava il sensore dell’ecografo sopra il tratto finale dell’intestino, gli occhi del dottore ebbero un fremito.
“C’è qualcosa che non va dottore?” Domandò Vittoria con voce tremante. Prima di darle una risposta volle verificare nuovamente i suoi sospetti.
“Dottore?” Lo richiamò Massimo
“Quando avete avuto l’ultima volta il ciclo?” Le domandò con tono pacato parendo quasi eludere la risposta inevitabile.
Vittoria riflettè qualche istante poi rispose con certezza. “Tre settimane fa, ma non era molto abbondante. Perché?”
Il medico inspirò muovendo la sonda nuovamente vicino all’ansa dell’intestino. “Lo vede questo puntino che pulsa in questa parte dell’intestino?”
Vittoria annui spaventata. “E’ un tumore?” Balbettò stringendo la mano di Massimo.
“No, fortunatamente, ma è una gravidanza extra-uterina!
“Gravidanza!” Esclamarono entrambi sorpresi.
Il ginecologo annuì. Così dicendo cercò di ingrandire l’immagine che prese lentamente forma. “Di almeno 9 settimane. E’ un caso raro che si insedi nell’intestino, ma può capitare! Se si fosse annidiato in una tuba, lei avrebbe probabilmente avuto un’emorragia molto prima con forti dolori addominali, ma siamo ancora in tempo!” Esclamò fiero del suo lavoro.
I due giovani si guardarono negli occhi senza aver compreso di cosa stesse parlando. “In tempo per che cosa?” Domando Vittoria titubante.
“Per asportarlo, prima che la sua vita sia messa a repentaglio!” Rispose con decisione non curandosi dell’effetto che quella risposta avrebbe potuto esercitare sulla sua paziente.
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QUARTA PUNTATA SECONDA PARTE

Sgranando le pupille verdi, Vittoria osservava basita quel piccolo puntino che pulsava sullo schermo. “Quello è il suo cuore?” Balbettò in un misto di commozione e disperazione.
Il medico annuì. Poi muovendo il sensore allargò l’immagine per misurare la grandezza dell’embrione e poter datare con certezza la data del concepimento. “Signorina Mari!” Esclamò con pazienza stampando l’immagine. “E’ lungo 5 centimetri e mezzo, è di quasi dodici settimane!” Vittoria era talmente intenta a fissare quell’esserino che si muoveva inconsultamente dentro il suo ventre, che non si accorse dell’espressione di sconforto che lentamente si disegnò sul volto di Massimo.
“E’ stato un bene che lei abbia avuto quell’influenza, altrimenti lo avremmo scoperto troppo tardi!” Concluse spegnendo l’ecografo. “La ricovereremo oggi stesso, domani faremo l’intervento e in serata potrà già ritornare a casa!” Quelle parole le rimbombarono come ovatta nelle orecchie.
Mentre il dottore si accingeva a sedersi alla scrivania, il suo volto era ancora teso verso lo schermo sperando che potessero riapparire quelle immagini che le avevano aperto una voragine dentro al cuore.
“Signorina Mari!” La richiamò inutilmente il dottore vedendola distratta. Poi, rivolgendosi a Massimo cercò di indorare quella pillola più amara della fiele.
“Siete entrambi molto giovani, potrete avere ancora dei bambini! Non vi corrucciate, non ci si può fare niente, questa è la selezione naturale!”
“Io sono solo lo zio!” Esclamò mestamente Massimo annuendo. Non attendendo che il dottore potesse scusarsi per il fraintendimento, Vittoria lo incalzò. “Cosa avete detto? Selezione naturale!” Si alzò in piedi cercando di ribellarsi, andando involontariamente a sfiorare il ventre come per rassicurarlo. Quell’uomo avrebbe voluto eliminare il figlio di Umberto, il figlio del suo amore. Avrebbe amato quella creatura, anche se fosse stata di Massimo, ma sapere che Umberto era il padre, le aveva riempito il cuore di una gioia che credeva di avere dimenticato. “Ora una parte di lui sarà sempre unita a me, vedrò nei suoi occhi brillare l’allegria e la dolcezza di Umberto!” Sorrise fantasticando.
No, non avrebbe permesso a quel dottore di infrangere i suoi sogni, di spezzare quel legame che la univa a lui.
Percependo il suo stato d’animo Massimo le tese la mano per tranquillizzarla, ma Vittoria con uno scatto di rabbia gliela allontanò. Il suo volto dapprima pallido, bruciava ora di rabbia.
“Beh sapete…è normale che una certa percentuale degli embrioni non sopravviva! Bisogna essere realisti!” Replicò con tono pacato, non lasciandosi influenzare dalla reazione della ragazza.
“Voi non siete realista!” Gli urlò in faccia il suo disprezzo e il suo dolore. “Voi siete spietato!”
“Calmati Vittoria!” Mormorò Massimo, ma il fuoco che ardeva nei suoi occhi lo fece ammutolire. “Voi parlate di statistiche…di selezione naturale…ma io vedo soltanto una vita che sta per essere spezzata!”
“O la sua o la vostra! Pensateci, potrebbe non restarvi più molto tempo! Ora, vado a chiamare un’infermiera che vi porterà in reparto se lo desiderate! Siate ragionevole, domani questo sarà soltanto un brutto sogno. Potrete dimenticarlo e andare avanti con la vostra vita!” Esclamò il dottore, allontanandosi dalla stanza.
Imbambolata e incapace di reagire, Vittoria si accasciò sul lettino. “Come dimenticare la gioia che questo piccolo tesserino mi ha dato in un secondo? Come andare avanti con la mia vita?” Con lo sguardo spento, perso nel vuoto si domandava quale fosse la cosa giusta da fare. Massimo l’accarezzava sulla nuca come fosse ancora bambina e cercava di farle comprendere che il ginecologo aveva parlato solo per il suo bene. Stordita, quando l’infermiera entrò, Vittoria si limitò ad annuire con il capo non rendendosi nemmeno conto della decisione che stava prendendo.
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Mentre avanzavano lungo il corridoio del reparto, Massimo continuò a sorriderle, cercando di infonderle un po’ di serenità. Invano. L’infermiera gli fece notare che l’orario di visite era terminato per cui non avrebbe potuto accompagnare Vittoria nella sua stanza. Allora chiese gentilmente alla donna di attendere qualche secondo. Voleva congedarsi da Vittoria e infonderle sicurezza. Si chinò su di lei per baciarle delicatamente sulla fronte. La ragazza chiuse gli occhi lasciandosi cullare da quel gesto affettuoso. “Mi dispiace Vittoria!” Bisbigliò. “Cerca di riposare un po’ io verrò domani dopo l’operazione. Ti porterò un cambio e attenderò che ti dimettano!”
Con la morte in cuore Vittoria si sforzò di sorridere. “Grazie per tutto!” Sussurrò a fior di labbra.
Le aveva già volto le spalle quando si sentì chiamare. “Massimo!” Il giovane allora accorse da lei stringendole la mano con passione. “Massimo devo chiederti un favore, una promessa!” Ripetè concitata cercando di sollevarsi. “Tutto quello che vuoi Vittoria, ma calmati!” Aggiunse accarezzandole i capelli e aiutandola a sdraiarsi nuovamente.
“Promettimi, anzi giurami su ciò che hai più caro, su Nicola che non dirai mai niente di questo a Umberto!” Massimo spalancò gli occhi incredulo. Tentennò qualche secondo, voleva negarle questo favore, ma il gemito della giovane lo fece desistere dal proposito.
“Ti prego!” Singhiozzò. “Non voglio che lui pensi che il mio corpo sia incapace di avere dei figli..non voglio che mi guardi con pietà…Voglio ritornare da lui quando starò meglio…quando sarò in grado di guardare la verità che risplende nei suoi occhi senza esserne annientata. Lui mi odia, mi disprezza e io lo comprendo…ha tutte le ragioni per farlo…non voglio che accetti di tornare con me solo per questo…Non voglio che…”
“Ma non è così Vittoria credimi..lui ti ama più della sua stessa vita!”
“Sei molto gentile, ma…” Aggiunse asciugandosi gli occhi dalle lacrime. “Non ti credo..questa è una scusa patetica!”
Vedendola balbettare frasi sconclusionate non ebbe il coraggio di negarle quella promessa. “Lascia almeno che lo dica a tua nonna! Reginella vorrebbe saperlo e poi potrebbe aiutarti e starti vicino in questo momento difficile!”
“Non ora!” Esclamò singhiozzando. “A tempo debito! Devo ancora capacitarmi, trovare una ragione per quello che mi sta accadendo! Vai ora e non dimenticarti della promessa!”
“Come vuoi!” Concluse mestamente congedandosi da lei.
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Non appena la fecero accomodare nel suo letto, Vittoria si rannicchiò in un angolo sentendosi improvvisamente piccola e sola. Quel dolore le stava straziando il cuore come se un falco sceso dal cielo stesse facendo a brandelli le sue carni. Era come un tumore che le stava sbranando l’anima. Non c’era più niente che potesse fare, lei stessa sarebbe stata l’artefice della morte di suo figlio. Voleva annullarsi, sparire dal mondo. Voleva che Umberto potesse condividere il suo dolore e allo stesso tempo temeva non potesse capire. Temeva le avrebbe buttato in faccia nuovamente la sua frustrazione e il suo rammarico. Disperata si nascose sotto le lenzuola con gli occhi gonfi di lacrime. “Non ci sono più!” Esclamò a bassa voce, tuttavia i vagiti di due neonati partoriti la notte precedente dalle puerpere del letto vicino la riportarono al presente. Con distinzione poteva distinguere il gorgoglio delle loro piccole bocche affamate ricercare i seni dalle madri. Stringendo gli occhi cercò di cancellare il pensiero che il suo bambino non avrebbe mai bevuto del suo latte, che non lo avrebbe mai tenuto stretto tra le braccia. Voleva urlare, ma il dolore sembrava averle strozzato la sofferenza nella gola. Lo strazio raggiunse l’apice, quando fecero ingresso in corsia tre giovani provenienti dalla sala operatoria: avevano appena interrotto volontariamente la gravidanza. Erano ancora sotto l’effetto dei sedativi. Imbambolate guardavano il soffitto bianco, asettico di quell’ampia camerata cercando di tornare alla vita reale. Vittoria non le giudicava, non le criticava, sentiva soltanto che in quella stanza ognuna combatteva una battaglia diversa.
Sebbene avesse scoperto accidentalmente di attendere un figlio, sentiva di desiderarlo più di qualsiasi cosa al mondo.
Comprese allora di non poter più indugiare. Prese dalla sua borsa foglio e penna e cominciò a scrivere un breve messaggio per Massimo, Umberto e Reginella.
“Nonna, Massimo, Umberto,
Ho bisogno di pensare, lontano da Capri, lontano dalla sofferenza di tutti questi mesi. Ho bisogno di ritrovare me stessa e la mia salute. Ritornerò per qualche tempo a Brambate, poi, quando mi sarò rimessa ….magari…Vi prego non rendete tutto ancora più difficile, non cercatemi…ve lo scongiuro, la Vostra Vittoria!”
Posizionò il biglietto sul credenzino di fianco al letto, in seguito nascose la borsa con i vestiti sotto la camicia da notte. Si trascinò fino al bagno del corridoio dove si cambiò. Poi, con passo felpato, uscì dal reparto, prendendo il primo taxi che l’avrebbe condotta alla stazione.
“A quest’ora non ci sono più aerei per Milano” Riflettè. “Prenderò l’euronight e sarò a casa in mattinata.
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Trascorse la notte in quella cuccetta angusta ripensando all’ultimo anno trascorso a Capri. La sua vita era completamente cambiata. Reginella, Massimo e Umberto le avevano aperto gli occhi su un mondo che non pensava potesse esistere: un mondo fatto di luci, profumi, allegrie e forti tinte passionali. “E tu?” Mormorò accarezzandosi il ventre. “Sei anche tu il frutto di questo mondo, di un amore che ha valicato i confini della possibilità! Che ne sarà di me? Di te?” Le palpebre le si chiusero lentamente. Le emozioni di quella giornata le avevano tolto qualsiasi forza. Mentre il cadenzato avanzamento del treno sulle rotaie, la cullava verso un sonno profondo, le tornarono alla mente l’ultima volta che avevano fatto l’amore.
Erano appena usciti dalla vasca da bagno dove Umberto si era infilato con i vestiti addosso. La canottiera bagnata aderiva alla sua pelle mettendo in risalto la sua muscolatura. “Chi sei tu che con un solo sguardo sai incendiare il mio corpo in questo modo? La mia pelle ti reclama, il mio respiro non desidera altro che fondersi con il tuo. Non mi sono sentita così completa e sperduta come quando i tuoi occhi verdi scandagliano le mie profondità. Lo sento tu puoi vedere la mia anima e ne ho paura. Ho paura che tu possa capire che non c’è uomo al mondo che mi faccia sentire come te…ho paura di innamorarmi di te, ho paura che se abbasserò la guardia tu mi volterai le spalle per una ragazza più attraente vivace e frizzante.
“Vittoria” No amore mio, non pronunciare il mio nome in quel modo, potrei dimenticare il mondo e fondermi nel tuo per l’eternità. E se mi risvegliassi e tu non fossi più al mio fianco? “Ti amo Vittoria!” Le tue parole suadenti come le tue mani calde, e vigorose riescono a valicare quella barriera che avevo innalzato per non farmi abbindolare da te. Sono tua anche se temo di confessarlo a me stessa. Meglio guardare altrove, meglio non perdermi in quelle gemme che ti illuminano il viso. Oh Umberto se potessimo fermare il tempo e rimanere uniti così per l’eternità. Tu, più attraente di una statua greca, tu il mio Amore…e nell’anelito del tuo respiro, io sono la tua Psiche che si arrende, abbatte tutte le sue difese per essere solo tua.
“Vittoria!” Non chiamare più il mio nome, ormai io non sono…non sono più Vittoria, la Nike alata, ma mi sono fusa completamente nel tuo essere. Sento la tua passione invadermi il ventre e non posso fare altro che gemere e ribaltare le pupille. Ti sento ridere, sorridere, mentre mi mordi il mento, mentre le tue mani esperte sfiorandomi i capezzoli, mi fanno comprendere che questo è stato solo l’antipasto di un banchetto che mi sarà servito per tutte le notti. Il tuo sorriso è scomparso Umberto. Cosa c’è? Stai tremando. Le dolci delizie che ti coronano la bocca sono sbiancate, sulla tua guancia sta scivolando una lacrima. Ti osservo allibita senza trovare spiegazione…”Vittoria” La tua voce flebile si fa spazio tra i miei dubbi e le mie preoccupazioni. “Vittoria” Ripeti come un bambino che sta chiamando il suo gioco preferito. “Ti amo talmente tanto Vittoria, da sentirmi indifeso, in tua completa balia! Non mi tradire mai Vittoria, ne sarei annientato!”

Il ricordo di quella frase la fece svegliare di soprassalto nelle vicinanze di Rho. Voleva non pensare al male che aveva fatto ad Umberto, ma non vi riusciva. “Forse rimanendo lontana da Capri per un po’ riuscirai a perdonarmi, magari quella ferita che ho aperto nel tuo cuore si chiuderà, magari un giorno…chi lo sa!”
Si accarezzò la pancia sorridendo. “Forse un giorno ritorneremo da papà, cosa ne pensi? Ma ora dobbiamo chiamare i nonni che ci vengano a prendere alla stazione!” Dopo aver fatto la chiamata spense in telefonino, essendo certa che Massimo avrebbe cercato di rintracciarla.
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Non appena riconobbe, tra le facce ignote dei viaggiatori in attesa sui binari, i volti conosciuti dei genitori scoppiò in un pianto lungo e liberatorio. Vedendola in quelle condizioni non ebbero il coraggio di chiederle cosa le stava accadendo. Solo quando la loro auto si fermò nel parcheggio di fronte a casa Vittoria mormorò. “Aspetto un bambino, di Umberto, ma non so se sopravviverà. Ho bisogno di capire cos’è giusto e cos’è sbagliato…anche pagando io stessa se è necessario…ma non voglio essere influenzata da nessuno! So che può sembrare egoista, ma tutto questo mi è piombato sulle spalle in un momento in cui non so più nemmeno io dove si trova il mio cuore…Vi prego..nel nome dell’amore con cui mi avete cresciuto…aiutatemi! Per ora non voglio parlare con nessuno…” I genitori ascoltarono in silenzio quella lunga confessione poi annuirono. “Tutto quello che desideri piccola!”
Nei giorni seguenti Vittoria si lasciò coccolare come una bambina. Sapeva che da Capri avevano cercato diverse volte di mettersi in contatto con lei, ma Vittoria sembrava come paralizzata dall’incertezza sul suo futuro. Una mattina, dopo che aveva rinunciato a fare colazione con i suoi genitori, la madre la raggiunse nella sua stanza per parlare con lei. “Tesoro, immagino quello che senti, ma non ti puoi rinchiudere tra le mura di questo palazzo. Io e tuo padre ti difenderemo sempre. Se non vorrai più vedere né Massimo, né Umberto noi ti proteggeremo, ma non puoi negarti a tua nonna. Sai bene quanto ha sofferto quando è morta Angela. E parlando con lei al telefono, mi si è spezzato il cuore.” Vittoria l’ascoltava in silenzio, senza reagire. “Almeno riguardati, permettici di accompagnarti dal medico affinché ti visiti!”
“Per udire che cosa?” Ribattè freddamente. “Che devo abortire questo bambino che desidero con tutto il cuore…”
“E tu invece cosa stai facendo Vittoria? Stai negando la verità a suo padre e con il tuo comportamento stai uccidendo tua nonna!” Come illuminata dalla folgore di un lampo, la fissò negli occhi. “Hai ragione mamma, andremo dal dottore, oggi stesso, e poi chiamerò la nonna e le racconterò tutto…”
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La visita non si rivelò così positiva come Vittoria e i genitori avevano sperato. Il cuore del piccolo aveva cessato di battere, rendendo necessario un intervento per asportarlo dalla cavità intestinale. La notizia la travolse con il tremore di un terremoto. Le sue labbra si inarcarono in un “perché” senza spazio e senza tempo. Cercò di alzarsi in piedi, ma le sue gambe vacillarono. Il padre prontamente la sorresse, facendola distendere sul lettino. “E’ entrato in punta di piedi nella mia vita e con la stessa leggerezza l’ha abbandonata…così in silenzio senza troppe acclamazioni ne riconoscimenti…quel cuore che avevo imparato a coccolare ed amare….quel cuore a cui raccontavo ogni mio più intimo segreto prima di addormentarmi la sera…ora non batte più…” Mormorò singhiozzando, ma senza opporre resistenza all’anestesista che era venuto a prepararla per l’operazione. “Fate di me quello che volete ormai non ha più importanza!

PUNTATA FINALE PRIMA PARTE...

Il giorno seguente, dopo essere stata dimessa, si rinchiuse nella sua camera con il desiderio di isolarsi da quel mondo che credeva l’avesse abbandonata. Giaceva nel letto, ripiegata su se stessa in posizione fetale, osservando con occhi sbarrati il soffitto di quella stanza troppo piccola per il suo dolore. Verso mezzogiorno, la madre le portò qualcosa da mettere sotto i denti, ma Vittoria si dimostrò irremovibile. Voleva rimanere sola. “Lasciatemi qui a vegetare fino al momento in cui si fermerà anche il mio cuore. Ormai, non mi importa più di niente…Capri è così lontana e con lei, le persone che amo di più. Dove sei Umberto? Che stupida ad allontanarmi da te, dal tuo amore, che come una brezza lieve mi scaldava il cuore. Dove sei? Vorrei tu fossi qui ad accarezzarmi la nuca come il giorno in cui ho rivelato a Reginella di essere sua nipote. Ero così disperata! Pensavo non ci fosse via d’uscita, invece tu sdraiandoti accanto a me, con le tue parole sussurrate alle orecchie hai pennellato con piume di speranza il sorriso sulle mie labbra. Sono egoista, avrei dovuto dirti prima del bambino! Almeno per il poco tempo che è stato con noi, avremmo potuto gioirne insieme! Ma temevo mi avresti respinta…Ed ora? Cosa posso offrirti amore mio? Solo un albero rinsecchito incapace di portare a maturazione i suoi frutti. No, non posso condannarti ad una vita con me. Allora perché non riesco a tacere la nostalgia del tuo volto, dei tuoi occhi malandrini e sorridenti e dei tuoi baci che mi hanno tolto il respiro? Mi manchi tanto Umberto!” Chiuse gli occhi assonnata, ancora sotto il parziale effetto dell’anestesia.
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Nelle prime ore del pomeriggio si risvegliò udendo uno strano vociare proveniente dalla strada, ma non ebbe la forza di affacciarsi alla finestra per vedere cosa stava accadendo.
Se avesse sporto i grandi occhi verdi al di fuori della balconata si sarebbe accorta che Reginella, accompagnata da Umberto, stava cercando di convincere il Signor Mari a farli entrare per parlare con lei.
“Allora è qui dove sei cresciuta amore mio!” Riflettè Umberto squadrando da cima a fondo la villa signorile a due piani alla periferia di Brambate. “La tua casa d’infanzia…dove hai giocato con le bambole a fare la donna! Qui hai voluto tornare senza darci una spiegazione. Massimo sembra conoscere il motivo di questa fuga, ma tu l’hai vincolato con un voto di silenzio…Cos’è successo? Perché sei fuggita Vitto’? Sebbene io stesso l’abbia desiderato, non riesco a capacitarmi della tua assenza da Villa Isabella. Le stanze paiono vuote e buie senza il tuo viso che le illumina. E non vi è traccia del tuo profumo, di quell scia magnetica che seguivo, sapendo sempre dove trovarti. Mi manca il tuo volto sorridente, i tuoi vestitini floreali attillati e quello sguardo furbo da bestiola selvatica. Mi manca il calore della tua pelle, le tue risatine vezzose..mi manchi tu.
Ho capito che hai voluto chiudere con Massimo, gliel’ho letto negli occhi quando è tornato a Capri. Lo so che è stupido, ma questo evento mi ha riempito di una speranza che credevo perduta. L’hai lasciato per me Vittò? Devo saperlo. Eccomi qua, ad attendere una tua risposta, un tuo si. Lo so, sono ricaduto come un ebete ai tuoi piedi. E la cosa stupida è che non me ne vergogno…se è vero che hai voluto lasciare Capri per non fare soffrire Massimo, sono disposto anche a vivere in questa pianura nebbiosa e umida pur di starti accanto. Non mi importa di rinunciare al mondo, perché per me l’universo si riflette nei tuoi occhi verdi. E sono qui ancora una volta ad offrirti il mio cuore da bambino affinché tu possa amarlo.”

“Senta!” Reginella incalzò il signor Mari, attirando l’attenzione di Umberto che per un momento si era distratto. “Non abbiamo fatto tanta strada per ricevere un no come risposta! Quindi la preghiamo di lasciarci passare, vogliamo vedere Vittoria!”
Umberto osservava divertito la scena. Quell’uomo non gli era mai stato particolarmente simpatico e in quella circostanza appariva come una maschera del teatro dell’assurdo di Yonesco. Il giovane rideva sotto i baffi, vedendo come Reginella riusciva a farlo ballare sulla punta delle sue dita.
Sconsolato Mari, abbassò le spalle annuendo. “Che sia, in fondo voi siete la nonna e Vittoria avrà sicuramente voglia di riabbracciarvi. Tuttavia….per quanto la riguarda!” Esclamò frenando gli ardori di Umberto. “Non credo che Vittoria sia in grado di sostenere una discussione con lei! Non è stata molto bene negli ultimi giorni ed ora è a letto a riposare!”
Umberto voleva obbiettare, ma Reginella gli fece cenno di desistere. Avrebbe lei convinto Vittoria a farlo entrare.
“Reginè aspetta!” Replicò Umberto allungandogli una cassetta. “Fagli ascoltare questa, sono sicuro che verrà giù lei a far spostare questo mastino….” Replicò con un sorriso sornione. Poi, mentre la nonna stava entrando in casa, aggiunse. “Lo sa? Lei farebbe un baffo pure ai mastini napoletani!” Ridacchiò toccandosi i baffi.
“E a lei l’educazione non è mai stata insegnata a quanto pare!” Gracidò con un riso amaramente ironico.
Fingendo di non averlo udito, Umberto sorrise, allungando il collo per carpire il momento in cui la figura slanciata di Vittoria sarebbe apparsa sulla porta di casa. “Che parli!” Pensò. “Certe persone aprono la bocca solo per darci fiato, ma oggi il mio umore è talmente buono che non mi lascerò condizionare da un babbeo, che aihmè potrebbe diventare mio suocero!”
“E’ inutile che attendiate!” Lo svegliò dalla beatitudine nella quale pascevano i suoi pensieri. Umberto allora lo fissò con fare inquisitorio. “Che cosa volete da me?” Gli domandò infastidito.
“Voglio che lasciate in pace la mia bambina, lei non ha più bisogno di voi Galiano. L’avete già fatta soffrire troppo e ora Vittoria si è stancata..” Scandì quelle parole per fargli comprendere la realtá dei fatti.
“Cosa?” Rise istericamente, mentre il dubbio incominciava a farsi spazio tra i suoi pensieri. “Non vi siete mai chiesto perché sia ritornata a Brambate?“ Vedendolo allibito proseguì, non lasciandogli il tempo di rispondere. “Venendo a Capri si è presa un periodo di riflessione prima di sposarsi. Si sa, prima di fare un passo così importante, a volte ci si spaventa. Così è accaduto a Vittoria, che ora però è tornata a casa più sicura di prima. Convolerà a nozze con Andrea il mese prossimo, si il mese prossimo!” Ripetè quelle ultime parole godendo nel vedere l’effetto devastante che esercitavano su Umberto.
Tentennò. Ciò che quell’uomo gli stava dicendo pareva talmente assurdo da essere vero. Come un albero tranciato in due da un lampo improvviso, Umberto tremò portandosi le mani al viso. Inspirò profondamente tra i palmi cercando di riacquisire il controllo. Non gli era mai capitato di essersi esposto in quel modo per una donna e di esserne sbeffeggiato a tal punto dal padre.
Sconvolto, rivolse un breve sguardo alla finestra di Vittoria. “Dica a Reginella che sono tornato a Capri! Scusatemi anche con vostra figlia per il disturbo!“ Lo salutò con il cenno di una mano allontanandosi alla ricerca di un taxi. “Cosa ti sta succedendo Umberto, perché le tue gambe vacillano? Perché non hai il coraggio di urlare sotto alla finestra che è una sgu*aldina che si è presa gioco di te? Perché non puoi….Ti ha mai forse promesso qualcosa? No, sei tu che come al solito una volta ti sei illuso e hai costruito castelli di carta inesistenti. Ingenuamente saresti anche stato disposto a concederle tutto quello che ti avrebbe chiesto…Stupido Umberto…torna a Capri…torna a fare il cre*tino…perché quella è l’unica cosa in cui eccelli! Si, raccogli la maschera scanzonata che avevi indossato per una vita intera…hai sbagliato a togliertela, hai sbagliato ad innamorarti di una così. Che tu sia maledetta Vittoria, e spera che io non debba più incrociare il tuo cammino, perché la prossima volta…” Singhiozzò scivolando a terra in un angolo della strada, attirando le ginocchia verso il torace per potervi affondare il volto e tutto il suo essere.
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Nello stesso momento Reginella fece ingresso nella stanza di Vittoria. La ragazza volgeva la schiena all’uscio e udendo la porta aprirsi si lamentò.“Avevo detto che non volevo essere disturbata!”
“Tu mi vuoi uccidere Vittò” Esclamò la donna con le lacrime agli occhi avvicinandosi a lei.
“Nonna!” Spalancò la bocca sorpresa cercando di sollevare il busto dal letto. La sua presenza pareva averla scossa da quel torpore che l’aveva investita alla notizia della morte del suo bambino.“Cosa ci fai qui?”
“Vittò puoi prendere in giro tutti, ma non me! Io sono carne della tua carne, sangue del tuo sangue…cos’è questa farsa che hai montato? E perché tuo padre controlla l’uscio come un maresciallo dei carabinieri?”
Le sue parole forti, accese e appassionate affondarono nella carne debole di Vittoria che scoppiò in un pianto liberatorio. Sedendosi accanto al lei, l’abbracciò, accarezzandole la cascata di riccioli mori che le scendevano spettinati lungo le spalle. “Piccina mia, che cosa ti hanno fatto?”
“E’ morto!” Singhiozzò.
Sgranando le pupille si meravigliò. “Chi è morto?”
“Il nostro bambino…il figlio di Umberto!” Udendo quelle parole, Reginella si fece il segno della croce e rivolse uno sguardo tremante al di fuori della finestra ignara di quello che era successo. “Mi hanno dimessa questa mattina dall’ospedale…e ho così tanto dolore addosso, i crampi mi lacerano il ventre…ma è la giusta punizione per aver tradito Umberto e insieme a lui il mio cuore…Se solo potessi tornare indietro…se solo mi potesse guardare ancora con quegli occhi vivaci e farmi sentire il centro del suo mondo!”
“Tesoro!” Esclamò con le lacrime agli occhi, prendendole il volto tra le mani. “A volte il destino ci fa degli strani scherzi, ma oggi ha voluto ascoltare la voce del tuo cuore. Affacciati alla finestra Vittò, Umberto è li sotto che ti aspetta!”Incredula fece un balzo fuori dalle coperte. Il desiderio di vedere l’uomo che amava piú di ogni cosa al mondo aveva mitigato stanchezza e dolore e, con un ritrovato spirito combattivo, Vittoria spalancò le ante. L’espressione, dapprima sorridente si trasformò lentamente in un broncio pieno di delusione.
“Perché mi hai mentito nonna?” Le domandò duramente invitandola a raggiungerla al balcone. Vedendo che in strada non vi era più nessuno anche Reginella si sorprese.
“Eppure, te lo giuro su ciò che ho di più caro…sul ritratto di donna Isabella, Umberto era li fino a qualche minuto fa! Perdonami Vitto’, non voglio essere maliziosa, ma….non può essere che tuo padre gli abbia detto qualcosa?”
“Ti riferisci al bambino?” Balbettò titubante, incredula che l’Umberto che conosceva avrebbe potuto rinunciare a lei dopo aver scoperto la verità.
La nonna scosse la testa. “No, Umberto non ne sarebbe mai capace..Ma tuo padre non l’ha mai visto di buon occhio…non vorrei che…”
La ragazza annuì, indossò la vestaglia e correndo giù dalle scale gridò. “Papà!”
L’uomo, abbassando il quotidiano che stava leggendo, la squadrò sorpreso di tanta veemenza.
“Dov’è Umberto papà?”
Rimase in silenzio.
“Mi vuoi dire dove è andato?” Gridò con quanto più fiato avesse in gola.
“Suppongo sia ritornato a Capri!” Rispose flemmatico togliendosi gli occhiali.
“Perché cosa gli hai detto?” Quella reticenza confermava i suoi dubbi.
“Gli ho detto ciò che si meritava di udire!”
“Cioè?”
“Di andarsene perché presto ti saresti sposata con Andrea!” Il volto pallido di Vittoria s’infiammò improvvisamente. “Ma chi ti ha dato il diritto di gestire così la mia vita? Perché papà mi odi a tal punto?” Domandò con le lacrime agli occhi.
“Io ti voglio bene bambina mia!” Esclamò cingendole le braccia attorno alla vita. “Non mi toccare papà!” Sbraitò. “Guardami! Guardami bene papà perché ti giuro che se non riuscirò a chiarire questa storia con Umberto, questa sarà l’ultima volta che mi vedrai!” Ruggì come una leonessa che stava strenuamente difendendo il suo territorio dalle ingerenze esterne.
“Vittoria!” Esclamò sorpresa la madre richiamata da quelle grida.
“Non mi trattenere mamma, non ora…sarei capace di fare una pazzia!” Così dicendo spalancò la porta di casa incominciando a correre lungo la via chiamando il nome di Umberto. Dopo pochi metri tuttavia, un’improvvisa debolezza si impossessò di lei facendole perdere i sensi.
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Quando riaprì gli occhi, si trovava sdraiata sul divano con la famiglia riunita attorno a sé preoccupata.
“Umberto!” Mormorarono le sue labbra cercandolo con gli occhi.
“Abbiamo cercato di raggiungerlo, ma pare abbia spento il cellulare!” Esclamò la madre affettuosamente accarezzandole la mano. “Non devi più fare una cosa del genere Vittoria…”
“Voglio tornare a Capri..”Mormorarono le sue labbra parendo non udire i saggi consigli della madre.
“Ora non puoi bambina mia!” Il tuo corpo non te lo permette ancora. Lo hai visto. Sei ancora troppo debole. Devi dare tempo all’emorragia di arrestarsi, poi potrai ritornare a Capri con Reginella!”
Vittoria non sembrava convinta, ma annuì. “A patto che nonna rimanga qua con me!” L’anziana signora sorrise. “Non me ne sarei andata nemmeno se tuo padre mi avesse messo alla porta. Concluse infilandosi le mani in tasca. “Guarda che stupida!” Esclamò estraendo la cassetta che Umberto le aveva consegnato. “Umberto mi ha dato questa per te!” La osservò con orrore incerta se ascoltarla o meno. Poi chiese gentilmente alla madre di inserirla nello stereo.
Dopo qualche istante di silenzio, riconobbe la voce gioiosa di Umberto e non seppe trattenere un sorriso. “Come sta la mia bella principessa?” Esclamò con aria scanzonata. “Ti ho fatto uno scherzo, vero? Mi immagino già la tua fronte aggrottata mentre impaurita inserivi la cassetta nel mangianastri…Non ti preoccupare, quel nastro non esiste più. Se l’è portato via la forza del mare, ..ma ora ti chiederai perché ti sto registrando la mia voce…La riconosci questa?” Vittoria acuì l’udito riuscendo a distinguere il rumore delle onde infrangersi sugli scogli e i gabbiani garrire sopra il capo di Umberto….”Questa è la voce di Capri Vitto’ una voce che da troppo tempo sta pronunciando una sola parola. “Ritorna!” Passeggiando per le Viuzze ho incontrato persone che volendoti hanno insistito per mandarti un messaggio.
“Vittoria Ciao, torna presto ci manchi!” La voce di Nancy la fece sorridere.
“E non tenerti il registratore solo per te?” La voce di Rossella si sovrappose a quella dell’amica americana, cercando di farsi spazio. “Ti vogliamo bene Vitto!” Gridò, mentre il tono profondo di Said pronunciò. “Torna altrimenti Rossella mi fa uscire pazzo” Vittoria ridacchiò udendo quell’espressione tipicamente partenopea pronunciata dall’africano. Seguirono i saluti di Daiana, Gennarino e Amalia. Tutti le chiedevano solo una cosa “Torrrrrrrrrrna!” Fu il saluto finale pronunciato da Alan con la sua caratteristica intonazione.
“Bene come hai potuto sentire Vittoria, qui manchi a tutti, anche a quello scemo di mio fratello, che come al solito, da bravo musone non ha voluto lasciare il suo messaggio! Vorrei concludere questi saluti con una canzone che vorrei dedicarti…
Le note armoniose e ovattate del pianoforte risuonarono piene di malinconia.
….Anche per te….
Vorrei morir e morir non so…
Anche per te…
Darei qualcosa che non ho
E poi e poi e poi…
Io resto qui a darle i miei pensieri
A darle quel che ieri
Avrei affidato al vento
Cercando di raggiungere chi
Al vento avrebbe detto si!

Vittò tu si na cosa grande per me…non dimenticarlo mai… Concluse con quella risata a lei tanto nota.

Edited by akane30 - 11/1/2007, 17:06
 
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